EMOZIONI DALLA CASA-FAMIGLIA
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Anche una piccola donazione è preziosa per garantire diritti e benessere ai ragazzi che aiutiamo nel progetto e di cui vi racconta la nostra volontaria Sabina qui sotto.
EMOZIONI DALLA CASA-FAMIGLIA
Il tragitto per arrivare a Pachacamac dove si trova la casetta é stato un po’ travagliato, le strade sono veramente difficili da percorrere, sia per il traffico che per le condizioni in cui sono. Il paesaggio é cambiato molto allontanandosi dalla cittá, palazzoni e asfalto hanno lasciato spazio a colline di terra senza erba e alberi ricoperte in certe zone da case di mattoni, lamiere, tende, colorate e accatastate.
Appena varcato il cancello con il pulmino i ragazzi ci sono venuti incontro correndo e chiamando Martin. Ci stavano aspettando giocando a calcio nel giardino. Finite le presentazioni i tre piú piccoli (JEREMIAS, CESAR, JUAN PEDRO) mi hanno accompagnata a vedere la camera che avevano preparato per me. Sono stati molto dolci. Si sono poi offerti di mostrarmi tutti gli spazi della casetta. Sono riusciti subito a farmi sentire accolta: parlavano piano per farsi capire, mi donavano sorrisi sinceri e sguardi attenti per farmi sentire come a casa. Sembrano piú piccoli dell’etá che hanno. Jeremias ad esempio, che ha 14 anni, sembra ne abbia 10. Mangiano moltissimo, probabilmente per recuperare. Sono pieni di energia e curiosità, fanno un sacco di domande sull’Italia. Sono molto affettuosi e cercano il contatto fisico continuamente. Tanti infatti non hanno ricevuto molte coccole essendo andati a vivere in strada da soli fin da piccoli. Per anni nessuno si é preso cura di loro e da soli hanno dovuto affrontare situazioni difficili e pericolose.
Passo molto tempo a giocare e conversare (a mio modo) con loro. A loro piace soprattutto giocare a calcio e fare braccialetti di lana o nylon. Sono molto abili e creano dei veri capolavori anche a maglia e con l’argilla, grazie alla professoressa di ceramica. Sono sorprendenti a giocare con le trottole. Amano la musica: sanno suonare il flauto di pan e il cajón grazie alle lezioni del professore di musica. A turno giocano anche con la playstation e hanno una palestra casereccia per allenarsi. Tre volte alla settimana hanno il recupero scolastico con una professoressa che viene alla casetta. Le loro giornate passano svolgendo queste attivitá oltre ad adempiere alle loro responsabilitá che consistono nel pulire la casa, prendersi cura del nostro cane e gatto, curare l’orto e lavare i vestiti. Qui il tempo é dilatato. Ci sono molti tempi morti che io personalmente adoro perché mi permettono di instaurare una migliore relazione con loro. La vita in casetta gli permette di sperimentare come si vive in una famiglia. Alcuni ragazzi frequentano la scuola, altri invece sono appena arrivati e sono ancora nella fase iniziale del percorso, quello dell’accoglienza. Il loro percorso infatti si divide in fasi che richiedono sempre più responsabilità fino ad arrivare all’autonomia completa.
Gli educatori della casa sono molto bravi nel dare piccoli obiettivi ai ragazzi perché sanno quanto costa loro rispettare certe regole o adeguarsi alla convivenza. Dico che è come una famiglia perché, come dei genitori, gli adulti della casa cercano di educare i ragazzi e li stimolano a diventare autonomi anche nel controllo delle frustrazioni, nella risoluzione dei conflitti, nell’autocritica costruttiva.
“Miglioramento” è una parola che viene spesso usata e fa parte di un tipo di visione dell’educazione in positivo. Essendo anch’io educatrice riconosco che il team di adulti che lavorano nella casa famiglia si stanno impegnando molto ad educare questi ragazzi valorizzando più i loro punti di forza che i difetti. Non è semplice, perché comunque parliamo di ragazzi che hanno vissuto in strada, che vedevano la figura adulta come un nemico, che consideravano le regole come imposizioni. Nella nostra casa-famiglia si sta veramente cercando di farli tornare ragazzi, di farli sentire al sicuro in modo che non debbano essere sempre sulla difensiva e che si sentano amati.
Più di un ragazzo ha commentato che, a differenza di altre case-famiglia, in questa si sentono liberi perché la porta del cancello è aperta. Ciò significa che non sono prigionieri, che non sono costretti a stare qui, che nessuno li obbliga a non tornare in strada. È una loro scelta. Per arrivare a questa scelta c’è un percorso specifico. Non si portano in casa tutti i ragazzi che si incontrano per strada, ma si fa un percorso in cui il ragazzo diventa sempre più consapevole e determinato a cambiare la propria vita. Perché si tratta di questo: dare la possibilità ad un ragazzo, a cui nessuno ha dato l’occasione, di fare quel salto di qualità che tanti sperano di fare. Crescere in una famiglia povera, con problemi di alcool, droga, maltrattamenti o che sfrutta i figli fin da piccoli per mendicare, non crea certo la giusta base per far crescere un bambino felice, sano ed equilibrato. Non c’è quindi da meravigliarsi nel vedere che quel bambino al più presto cerca di scappare e comincia a rubare, fare lavoretti per avere la pancia piena e sniffare la colla da scarpe, la droga più economica che può trovare. Come dice il nostro volantino “La vita è una strada, ma la strada non è vita”.
Non è vita dormire per terra, nell’erba di una rotonda in mezzo ad una tangenziale, raggomitolato in una coperta sporca, umida e puzzolente per non sentire il freddo. Non è vita vivere in una gang di ragazzini che al primo litigio ti accoltellano o ti lanciano sassi perché sono arrabbiati col mondo o con loro stessi e sono talmente fatti che non sanno neanche quello che fanno. Non è vita essere sbattuti da un carcere minorile all’altro senza avere la possibilità di essere educati e reinseriti nella società. Non è la vita che vorremmo per i nostri figli e non è la vita che vorrebbero loro.
Ora sono qui per conoscere meglio il progetto e mi rendo conto della sua complessità e globalità. Nell’area dell’accoglienza residenziale ho potuto constatare la professionalità e l’affetto con cui vengono curati i ragazzi, in ogni loro dimensione (psicologica, sanitaria, cognitiva, affettiva, familiare). Nell’area della strada non si va solo a trovare i ragazzi che ci sono nelle varie zone della città, ma si cerca di aiutarli concretamente: per esempio a rifarsi la carta d’identitá, a curarsi negli ospedali, a riallacciare i legami con la famiglia, aiutando anche la famiglia stessa, soprattutto se ci sono fratelli o sorelle coinvolti. La prevenzione è molto importante: nel progetto esiste un’area apposita che ha come obiettivo evitare la dispersione scolastica, la malnutrizione e la vita in strada di una ventina di bambini e ragazzi. Sono molto orgogliosa di far parte di questa associazione perché credo veramente che le persone che ne fanno parte ci mettano anima e cuore oltre a professionalità e competenza. Grazie a chi ci sostiene e rende possibile tutto questo.
Un abbraccio,
Sabina Lima, 10 agosto 2019