Un giorno in strada…
Come giá sapete, passare una giornata in strada con il nostro educatore Martin corrisponde ad una immersione totale nel nostro progetto e un contatto molto significativo con i nostri beneficiari.
Martedí 27 é stata una giornata per me davvero speciale, con tante emozioni. Abbiamo iniziato con un laboratorio nel preventivo de menores (centro di accoglienza per minori non accompagnati) di Zarumilla, dove vengono ospitati bambini dai 6 ai 10 anni circa. Io mi aspettavo degli adolescenti, invece mi sono trovata davanti dei piccoli angioletti! Giá in quel primo momento il mio cuore si é commosso. Sono “rinchiusi” mentre aspettano di essere affidati a una casa di accoglienza o di ritornare nelle proprie famiglie, da cui sono scappati o da cui li ha tolti lo Stato stesso per problemi di violenza o mancanza di un’adeguata cura da parte dei familiari. Purtroppo, come mi spiegava con atteggiamento critico Martin, li tolgono dalla famiglia o dalla strada per metterli in un centro inadeguato come questo, dove per legge non dovrebbero stare per piú di 72 ore, mentre ci restano anche per settimane o mesi. E’ un luogo con grate, da cui i bambini non escono praticamente mai: quindi la sensazione é proprio quella del carcere. In piú sono centri gestiti dalla polizia, quindi sono sotto la tutela delle forze dell’ordine che non sempre li trattano con dolcezza e delicatezza come si dovrebbe fare con bambini che hanno subito il trauma di essere portati via dalle loro famiglie.
Martedí c’erano: Sebastian 1 e Sebastian 2 (come loro stessi hanno precisato), Johan, Brando, Isaac. Io e Martin abbiamo organizzato un laboratorio di braccialetti, che ha peró lo scopo piú profondo di monitorare le condizioni di salute fisica e psicologica dei bambini ospiti ed eventualmente metterne a conoscenza i tutori o “denunciare” situazioni di scarsa cura dei bimbi alle autoritá. Per esempio martedí uno di loro, il piú irrequieto, ha raccontato di avere male alle orecchie: Martin lo ha poi riferito alla tutrice che ha detto di non saperne nulla. Martin ogni volta che va al preventivo annota nomi, etá, provenienza dei bambini, che da una settimana all’altra possono anche non esserci piú perché trasferiti in altre strutture, per poi dare continuitá al nostro accompagnamento come istituzione, a volte anche andandoli poi a trovare nelle loro case o negli istituti dove sono stati inseriti. Momenti sereni si sono alternati ad altri piú seri: la merenda con l’anguria, il gioco dei nomi, la realizzazione dei braccialetti, si sono mescolati ai racconti frammentari dei bimbi, a volte detti ad alta voce fra sé e sé. “Mi mancano gli amici della scuola….fra qualche giorno avrei avuto gli esami..” e allora capisci che quel bimbo é stato strappato all’improvviso dalle problematiche familiari, interrompendo peró la frequenza scolastica che invece é uno degli elementi di prevenzione piú efficaci per impedire l’inizio della vita in strada dei ragazzi. “Sono venuti a prendermi a casa; sono tornato dalla scuola e mi hanno portato qui…non so perché”. Ti chiedi se questo tipo di metodi non crei un trauma in bambini che all’improvviso si vedono separati dal loro contesto familiare, magari anche per motivi validi, ma il metodo brusco non tiene certo conto dei loro sentimenti. Per tutto il tempo che siamo stati nel preventivo mi sono sentita commossa, oltre che orgogliosa dell’importante azione di difesa dei diritti dei bambini che il nostro progetto mette in atto. Mentre facevamo i braccialetti e ascoltavamo i racconti dei bimbi, il mio sguardo é caduto su un cartellone appeso alla parete: elencava i diritti dei minori, quelli della Dichiarazione Universale dei Diritti dei Bambini, e il primo era “Tutti i bambini hanno diritto ad una casa e alla loro famiglia”. Mi sembrava una contraddizione piuttosto evidente. Uno dei bambini era in pigiama, probabilmente il centro non riesce ad assicurare loro neanche la copertura dei bisogni primari: Martin mi ha spiegato che ció é dovuto alla mancanza di budget da parte della polizia, che gestisce i centri per conto del Ministero degli Affari Sociali, il quale peró non ha un fondo specifico per tali centri, ma ha stabilito che debba essere la polizia a coprire le necessitá dei bimbi. Insomma un rimpallo di responsabilitá nel quale ci rimettono i minori.
Dal preventivo ci siamo spostati (con la solita ora e mezza di pulmino) in altra zona dove Martin ha redatto una dichiarazione che poi abbiamo presentato alla dipendenza del Ministero degli Affari Sociali, per informare che uno dei ragazzi della nostra casa-famiglia, che ci é stato affidato qualche mese fa, non é tornato dal permesso di Natale in famiglia, perché la madre lo ha trattenuto presso di sé non rispettando il mandato del giudice che la diffida dalla patria potestá, in quanto sospetta di maltrattamenti verso il figlio e sfruttamento del minore perché lo faceva lavorare per le necessitá della famiglia. Martin era molto critico nei confronti del Ministero perché il giorno prima si era rifiutato di aiutarci a risolvere la situazione del minore, dicendo che essendo uscito dalla nostra struttura eravamo noi a doverla risolvere. In realtá, mi spiegava che la tutela legale continua ad essere del Ministero e sono solo loro che hanno la facoltá di obbligare la madre a riportare il minore nella casa-famiglia. Non siamo riusciti a parlare direttamente con l’avvocato che segue il caso, ma almeno abbiamo presentato il documento. Poi ieri Martin ha chiamato per telefono l’avvocato ed é riuscito a fargli comprendere l’importanza del loro intervento come Ministero per far pressione sulla madre: alla fine l’avvocato si é assunto l’impegno di mandare qualcuno del Ministero alla casa del minore. Speriamo lo facciano davvero. A volte la Legge puó lavarsi le mani e disinteressarsi dei ragazzi, anche se sono sotto la loro tutela: cercano l’appoggio di istituzioni private come la nostra perché lo Stato non ha sufficienti centri di accoglienza per minori, e poi tenta di lavarsene le mani. La collaborazione tra Noi e lo Stato dovrebbe invece essere la base di una reale cura e protezione dei minori.
Dopo un velocissimo pranzo, ci siamo spostati nel centro. Io ho fatto riparare in un mega centro commerciale il mio cellulare peruviano: lo sfarzo dei negozi e dei ristoranti, vestiti a festa per il ceti sociali agiati dei Paesi in Via di Sviluppo, come il Perú. I nostri ragazzi non hanno neppure l’acqua in casa, mentre lí c’era un surplus di beni materiali che mi ha ancora una volta fatto comprendere come il raggiungimento di una uguaglianza di opportunitá per tutti gli esseri umani dovrebbe essere il primo punto nell’agenda di tutti i Governi del mondo.
Nel tardo pomeriggio ci siamo diretti verso l’ultima tappa del giorno: il porto con il mercato del pesce di Lima dove Martin doveva incontrare un ragazzo che lo aveva chiamato la mattina e che, nel periodo estivo, dorme con gli amici nelle barche, di nascosto dai pescatori. Un ambiente allegro, pieno di vita, con banchetti di ogni tipo di cibo e pesce. Noi peró eravamo lí per cercare un ragazzo che vive in strada. Abbiamo fatto piú volte il giro della spiaggia, guardato sotto e dentro le varie barche, ma niente. Alla fine abbiamo deciso di andarcene ma, proprio quando stavamo salendo sul nostro pulmino, eccolo spuntare con una bicicletta (probabilmente rubata) insieme ad un altro ragazzo che, con mia grande sopresa, é risultato essere uno dei ragazzi che ha vissuto in casa-famiglia fino a pochi mesi fa e poi ha avuto una ricaduta. Mi ha risconosciuto ed é subito corso ad abbracciarmi. Non c’é stata peró la possibilitá di parlare in modo serio perché erano entrambi sotto l’effetto della colla che probabilmente avevano sniffato fino a poco prima: i loro occhietti erano lucidi e ridevano per ogni cosa. Martin, come sempre, ne ha comunque approfittato per cercare di sensibilizzarli a prendere la decisione di entrare in casa-famiglia, abbandonando la strada: ha ricordato loro che sono giá varie volte che lo chiamano chiedendo di venire in casetta, ma poi non lo fanno. Li ha sollecitati a dimostrare un reale interesse, chiamandolo il giorno dopo per parlare della questione mentre erano lucidi, non sotto l’effetto della colla. Poi li abbiamo accompagnati per un tratto e li abbiamo lasciati ad un semaforo: sono ripartiti sulla bicicletta in modo spericolato, tanto da rischiare di essere travolti da un taxi perché hanno attraversato la strada senza guardare.
La mia giornata é poi finita a casa di Andrea, una delle ragazze che ha vissuto in casetta negli anni scorsi: é stato un piacere vederla cosí bene, cresciuta, matura, responsabile. Ha un buon lavoro, una casa decente, una bellissima bimba di due anni. Certo, avrebbe tanti sogni ancora da realizzare, ma la sua vita certamente é migliore di quella che avrebbe fatto in strada.
Auguro davvero di cuore ad ognuno dei bimbi incontrati nel preventivo di avere le stesse opportunitá che ha avuto Andrea vivendo nel nostro progetto, che esiste anche grazie a voi.
Vi mando un forte abbraccio,
Alessandra