JESUS: DALLA STRADA…ALLA CASA
Giovedì 31 luglio. Ore 18.00. Jesùs ha chiamato varie volte nel corso della giornata, così come era successo nei giorni precedenti. Vuole parlare con Martin. Ha intenzione di tornare a vivere nella casa-famiglia, ma vuole prima lavorare per comprarsi delle scarpe e delle cuffie per ascoltare la musica. Lavora pulendo i vetri delle macchine. Martin nei giorni precedenti lo ha invitato più volte a venire alla casa-famiglia per parlare con gli operatori. Non ha ancora avuto il coraggio di farlo. Lo incontriamo in centro, sale sul nostro pulmino e andiamo in un ristorantino per mangiare qualcosa e parlare con calma. Jesùs è molto dimagrito. Alterniamo argomenti seri e spezzoni di vita divertenti. Mi commuove vedere come Jesùs si ricordi di tante belle cose che ha vissuto in casa-famiglia, soprattutto delle “ sue” galline. Mi chiede di aspettare a mangiarle perché vuole salutarle. Io gli rispondo scherzando che deve venire presto, perché non possiamo aspettare troppo tempo, visto che sono già belle grassocce. Lui ride. Martin, con delicatezza, lo fa ragionare su alcuni aspetti della vita in strada: in particolare guida Jesùs ad ammettere che sono parecchi giorni che lavora per comprarsi scarpe e cuffiette, senza riuscirci, non per mancanza di soldi, ma perché in strada quello che si guadagna lavorando si spende in tante esigenze del momento, droga compresa. Jesùs ci chiede notizie degli altri ragazzi e degli operatori, dimostrando affetto e interesse sinceri, ci dice che ha visto su facebook le foto di lunedì scorso, quando in casa-famiglia abbiamo invitato tutti i ragazzi che hanno vissuto in questi anni con noi: avrebbe voluto venire, ma si sentiva sporco e senza vestiti puliti. Io gli dico che non ci sarebbe importato molto del suo aspetto. Sorride. Gli chiediamo dove sta dormendo e la sua risposta mi sembra surreale: “Dormo comodamente, su una poltrona, di fronte all’ingresso di una chiesa”. Mi immagino la scena, tenera e buffa allo stesso tempo, di lui che con un amico dorme sul marciapiede, come se fosse in salotto. Dice che non sente freddo perché ha la “sua” coperta. So da tempo che per i ragazzi le condizioni fisiche e materiali non sono gli aspetti più importanti, perché se la sanno cavare bene e hanno una resistenza diversa dalla nostra. Dice che non si sta drogando molto con la colla da scarpe, a differenza dei suoi amici. Due situazioni mi hanno preoccupato nei giorni precedenti: un taglio sulla testa a seguito di una randellata durante un suo tentativo di furto di cellulare, e un dolore al petto dovuto ad un pugno che un amico più grande gli ha dato la sera prima mentre era ubriaco. Dice che non sta più rubando perché ha avuto paura. Ci racconta con vergogna che qualche sera prima si è fatto la pipì addosso, di notte: Martin minimizza dicendogli che può capitare, soprattutto adesso che fa freddo. Mi fa tenerezza la confidenza che ha nei nostri confronti, raccontandoci questo dettaglio così intimo. Arriva il momento di salutarci e Jesùs ci fa capire che verrà presto alla casa.
Venerdì 1 agosto. Ore 17.00. Siamo nell’ufficio prefabbricato della casa-famiglia. Suona il campanello. Martin mi guarda e mi dice: “A quest’ora non può che essere Jesùs”. Io lo guardo un po’ incredula. Vado io stessa ad aprire il portoncino d’ingresso. Non c’è nessuno, ma poi vedo una felpa nera nascosta dietro l’angolo. Esclamo con gioia: “Jesùs!”. Poi ci abbracciamo. Entra e tutti lo accolgono con abbracci e sorrisi. Segue un incontro con Martin e Nilo, l’educatore di turno, per parlare più seriamente della possibilità del suo rientro in casa. È un momento cruciale, in cui secondo la nostra metodologia bisogna portare il ragazzo ad esprimere con chiarezza le sue motivazioni, a fissare degli accordi precisi su comportamento, limiti e responsabilità dentro la casa. Jesùs si dimostra molto maturo, accetta tutte le proposte che gli vengono fatte, come per esempio di iniziare di nuovo il percorso dalla tappa di “prima accoglienza”, anticipa lui stesso alcune considerazioni importanti: “Non voglio più aspettare a comprarmi le cuffiette per la musica. Voglio tornare a vivere qui”. L’accordo finale è che chiami alla casa il giorno dopo per avere la risposta definitiva sulla sua possibilità di rientrare in casa. Secondo metodologia, informiamo e ascoltiamo il parere anche dei ragazzi. Martin lo accompagna alla fermata dell’autobus. Sembrerebbe più semplice accoglierlo subito in casa, ma questo non aiuterebbe il ragazzo a riflettere bene sulle sue motivazioni e non rafforzerebbe la sua scelta.
Sabato 2 agosto. Ore 9.30. Jesùs chiama alla casa-famiglia. Martin lo informa che può venire: operatori e ragazzi hanno accettato la sua richiesta di reingresso. Deve però venire prima delle 13.00, in modo tale che ci si possa riunire, adulti e ragazzi, per dargli il benvenuto e rivedere insieme le regole e le norme della convivenza. Arriva alle 12.30. Ci riuniamo in sala da pranzo. Martin guida con sapienza la riunione. Jesùs un po’ timido esprime le sue motivazioni. Insieme agli altri ragazzi, rileggiamo e commentiamo le regole e le norme della convivenza in casa. Poi alcuni di noi gli danno il benvenuto augurandogli di restare a lungo tra noi per poter realmente uscire dalla strada. Concludiamo con abbracci ed un applauso di benvenuto. Per me è meraviglioso vedere come riusciamo ad armonizzare affetto e responsabilità nella relazione con i ragazzi, soprattutto nel delicato momento di un reingresso in casa-famiglia. L’unico momento in cui ho visto arrossarsi gli occhi di Jesùs è quando ha detto che uno dei motivi per cui è voluto tornare è perché gli mancavamo come famiglia. Lui che non ha nessun familiare che lo cerchi e si voglia prendere cura di lui: la mamma lo ha abbandonato da piccolissimo e il padre non ha neppure voluto firmare i documenti per la sua carta d’identità. Domani io e Martin andremo al Ministero per chiedere come fare per ottenere la tutela legale di Jesùs. Ci piacerebbe essere anche legalmente la sua famiglia, visto che a livello di cuore e di cure lo è già a tutti gli effetti. Questo per noi vuol dire accogliere e seguire ognuno dei ragazzi come figli.