Diario da Lima: in casa di accoglienza
Carissimi amici,
vorrei anche questa settimana condividere con voi, in semplicità, la storia di uno dei nostri ragazzi, sapendo che ciò rafforza il legame che vi unisce a loro.
IN CASA DI ACCOGLIENZA
Carlos, il primo giorno che vado alla casa di accoglienza, apre la porta e mi saluta con un “Ciao, Alessandra!”. Si ricorda di me, dall’anno scorso, quando con Martin abbiamo incontrato il gruppo di ragazzi che vivono in una delle strade del centro, quello di cui fa parte anche Jesùs. Tra loro c’era anche lui. Mi stupisce che si ricordi di me anche se mi ha visto poche volte ed è già passato un anno. Ha 17 anni, ma il suo modo di essere e di parlare è quello di un ragazzino più piccolo. Vive nella nostra casa da circa un mese e mezzo ed è ancora all’inizio del suo percorso, ma lo si vede molto motivato, soprattutto grazie alle attività che svolge in casa. Gli piacciono molto tutti i laboratori: recupero scolastico, oggettistica, ceramica, musica e orto. Nei momenti liberi si dà comunque da fare per mantenersi occupato: lava il pulmino, mi chiede se potrebbe ridipingere le pareti dell’aula studio ormai scrostate dall’umidità, sta imparando a giocare a scacchi con uno degli educatori, taglia spesso il prato del giardino perché gli piace usare il tagliaerba. Lo scorso fine settimana il gruppo degli operatori era indeciso se ascoltare la sua richiesta e farlo andare a casa dalla zia o dalla madre. Uno dei motivi che li ha spinti a dargli fiducia, anche a rischio di ricadute in strada, è stato proprio il suo grande interesse nel continuare a svolgere le attività dei laboratori, che lo avrebbe motivato a rientrare in casa. La sua storia è piuttosto difficile come quella di tutti i ragazzi che arrivano a vivere nella nostra casa di accoglienza. La madre lo rifiuta completamente: ultimamente, sotto suggerimento della psicologa che la segue, ha deciso di impedirgli di andare a casa e di vedere le sorelline, temendo che lui possa fare loro del male. Martin mi ha spiegato che Carlos ha esperienze di sessualità complesse, ma che comunque non giustificano le preoccupazioni della madre, che anzi rischia di marchiarlo come un individuo pericoloso, quando è in una fase di crescita in cui va invece guidato a gestire nel pieno rispetto di sé stesso e degli altri la propria sessualità. Il padre lo chiama solo quando ha bisogno di chiedere qualcosa che gli interessa al figlio, come è successo nelle scorse settimane. La persona a cui è più affezionato è la zia con cui ha vissuto da piccolo: è venuta sabato scorso a prenderlo per il suo permesso di uscita e mi è sembrata una donna molto equilibrata. Purtroppo la zia non se la sente che Carlos torni a vivere da lei, perché accudisce la madre anziana in ospedale e non c’è quasi mai a casa, quindi teme che Carlos, rimanendo solo, potrebbe facilmente tornare in strada. L’insistenza con cui Carlos ha chiesto di passare il fine settimana o con la madre o con la zia dimostra quanto per ogni ragazzo sia fondamentale ritrovare un legame positivo con la sua famiglia di origine: risponde al bisogno primario di sentirsi amati e accettati. Per noi è una conferma di quanto sia importante coinvolgere il più possibile nel processo di uscita dalla strada del ragazzo almeno un referente familiare, perché questo riduce moltissimo il rischio che il ragazzo perda la motivazione e decida di tornare in strada. Carlos è stato contentissimo di aver passato il fine settimana con la zia e con la sorella maggiore e l’uscita gli è servita anche per mettersi alla prova perché, anche se non era previsto, è dovuto tornare da solo alla casa di accoglienza e lo ha fatto senza cedere alla tentazione di fermarsi col gruppo di amici in strada. È un ragazzo estremamente bisognoso di affetto: ci abbraccia continuamente, e a me, da quando ha saputo che non ho figli miei, dice continuamente che sarà lui mio figlio. Io sorrido e contraccambio l’affetto, dicendogli che sarà il mio figlioccio adottivo. La metodologia del progetto favorisce relazioni molto affettuose tra adulti e ragazzi perché hanno un enorme bisogno di sanare le carenze affettive dell’infanzia. Sono perciò orgogliosa del calore umano e del benessere che la casa di accoglienza sa regalare ai ragazzi e anche a noi che abbiamo il privilegio di accompagnarli per una parte del loro percorso di vita.